venerdì 9 maggio 2008

9 maggio 1978


Per non dimenticare Peppino Impastato

Oggi ricorre il 30esimo anniversario dell'omicidio politico di
Peppino Impastato, assassinato brutalmente da sicari mafiosi. La mafia ha ridotto a brandelli il suo corpo ma non ha fermato le sue idee, né piegato il suo coraggio interiore e la sua onestà intellettuale, non ha spezzato la sua dignità, né dissolto la sua energia spirituale.
La mafia ha ucciso Peppino ma non ha soppresso la libertà e i diritti che egli ha sempre propugnato e difeso con tutte le sue forze, battendosi contro l'ingerenza e il controllo oppressivo esercitato dalla criminalità organizzata sulla vita dei cittadini, contro l'occupazione militare mafiosa del territorio e della società, contro la speculazione edilizia, il malaffare e la corruzione politica.
La mafia non è riuscita ad annientare il simbolo ideale e politico che ancora oggi, a distanza di trent'anni, Peppino rappresenta per le nuove generazioni. Le quali lo hanno riscoperto grazie al celebre film diretto da
Marco Tullio Giordana, "I cento passi", nel quale il ruolo di Peppino è magistralmente interpretato dal brillante attore Luigi Lo Cascio.
Per chiunque voglia saperne di più su Peppino, in omaggio alla sua memoria e alle sue idee intramontabili, vi propongo una raccolta di link.
PEPPINO IMPASTATO
UCCISO IL 9 MAGGIO 1978
LE SUE IDEE NON MORIRANNO MAI
"LA MAFIA E' UNA MONTAGNA DI MERDA"
"I CENTO PASSI"


Infine, suggerisco di consultare i seguenti siti:




HASTA SIEMPRE PEPPINO!

venerdì 23 novembre 2007

27 anni dopo










IL TERREMOTO INFINITO? Note su una catastrofe e su quello che ne è seguito.
23 Novembre 1980
: la terra trema! In 90 terribili secondi si consuma una drammatica scossa sismica che causa oltre 3.000 morti e parecchie decine di migliaia di sfollati. Nella provincia di Avellino e in quella di Salerno interi paesi scompaiono sotto le rovine ( nella sola Laviano rimangono uccisi quasi il 50% degli abitanti); a Napoli crolla la torre di via Stadera: farà da sola circa 100 morti?
Mai catastrofe naturale é veramente solo una catastrofe naturale e il terremoto in Campania ha prodotto effetti tanto terribili anche per l'inesistenza di qualunque politica di prevenzione in una zona sismica come la nostra, sventrata piuttosto dalla speculazione edilizia. Ma il terremoto del 1980 mette anche drammaticamente in luce un altro dramma: il dramma sociale della società meridionale!
Una catastrofe con tanti nomi: sottosviluppo, disoccupazione endemica, senzatetto, clientelismo, speculazione, sfruttamento e depauperamento del territorio. L'incrocio fra la potenza devastante del sisma e i nodi sociali della cosiddetta "questione meridionale" fanno del 23 novembre '80 un crocevia decisivo nelle vicende politiche e sociali della regione e dell'intero paese. Nei mesi seguenti un duro scontro si aprirà tra la tensione di migliaia di proletari ad autorganizzarsi per conquistarsi diritti fondamentali e la prepotenza con cui le strutture di potere rinsalderanno il controllo politico per garantirsi i profitti.
Ma andiamo con ordine: nelle 48 ore seguenti al sisma gli apparati di potere della democrazia cristiana nelle province interne risultano anch'essi "fisicamente terremotati"? Molti sindaci, spaventati, letteralmente scappano via mentre la stessa prefettura di Salerno si dimostrerà incapace di fronteggiare la situazione e il prefetto sarà rimosso dopo poco. La cultura di un ceto politico da sempre intento a curare solo i propri interessi pare inadeguata a fronteggiare la drammaticità della situazione. In quelle stesse ore, spinto anche dalla tragedia, pian piano il protagonismo popolare riempie il vuoto istituzionale con la propria iniziativa. La rabbia verso uno stato "nemico" anche nel ritardo dei soccorsi si mescola con la solidarietà fra chi ha perso tutto. Le famiglie sono in molti casi materialmente distrutte e tanti paesi sperimentano fin dalle primissime ore un nuovo modo di essere comunità
Ci si organizza per scavare i morti, per recuperare i feriti, per occupare i comuni e sostituire amministrazioni dissolte nel rilascio di certificati e documenti, finanche per garantire il cibo a tutti. Quando il giorno seguente il presidente Pertini arriva a Laviano semidistrutta, è identificato dalla rabbia popolare come simbolo di quello stato lontano e colpevole ed un militante comunista lo colpisce con una sassata. Tornato a Roma Pertini avrà una durissima sortita televisiva contro il malgoverno democristiano e i drammatici ritardi nell'organizzare i soccorsi. Il giorno seguente il Pci annuncerà la definitiva chiusura della fase del "compromesso storico" con la Dc ritenendo indispensabile una "alternativa di sinistra". Nei fatti il processo di corrompimento politico del partito andrà avanti e la gestione consociativa con la democrazia cristiana continuerà anche nelle successive vicende "dell'affare terremoto". La Dc reagisce al possibile disfacimento del suo controllo con la nomina di Zamberletti quale "commissario straordinario per il terremoto". Si apre così la pratica dei commissariamenti (formalmente provvisori ma dureranno un decennio): come negli anni '70 si era risposto alle istanze di libertà e di emancipazione con le leggi dell'emergenza, ora la cultura emergenziale si trasferiva anche al campo amministrativo. Zamberletti costituirà così un potere superiore ad ogni organo democratico e agli stessi prefetti, disponendo senza alcuna trasparenza degli uomini, dei mezzi e delle ingentissime risorse finanziarie che saranno stanziate. Con l'alibi dell'efficienza si colmava il vuoto di potere in chiave autoritaria "commissariando" la già precaria vita democratica della Campania per garantire gli interessi forti dalle possibili insidie dell'iniziativa popolare.
In molti paesi colpiti dell'Irpinia e del Salernitano cominciano intanto ad organizzarsi i "comitati popolari" che avranno un punto di riferimento in Rocco Falivena, militante di Lotta Continua passato poi al Pci. Inizialmente partiti come esperienza di supporto ai soccorsi, i comitati cominciarono ad assumere l'iniziativa politica rappresentando gli interessi calpestati delle popolazioni locali. C'era una premessa importante a questo moto di organizzazione popolare ed erano le lotte dei braccianti: nella piana del Sele già da qualche anno decine di migliaia di braccianti si erano mobilitati per l'avviamento pubblico al lavoro, per il funzionamento degli uffici di collocamento contro il caporalato, che invece era diffusissimo e consentiva ai padroncini del ciclo del pomodoro, delle fragole ecc. di risparmiare fino al 70% dei salari minimi previsti per la categoria! Le lotte erano continuate anche con episodi come l'occupazione di terre (ad es. nel '79 a Persano le terre furono sottratte alla gestione dei militari dopo un duro scontro).
L'afflusso dei volontari (30.000 da tutta Italia) completò l'opera: erano i giovani politicizzati degli anni '70, in molti casi aderenti a organizzazioni della sinistra extraparlamentare, che entrarono subito in contatto con la popolazione locale contaminandosi reciprocamente. Ben presto Zamberletti mostrerà insofferenza a questa presenza tentando a più riprese di "ripulirla" almeno dei soggetti più radicali.
A metà dicembre del 1980 si riuniva per la prima volta dopo il terremoto (era passato un mese!) il consiglio regionale e l'irruzione al suo interno dei comitati popolari rappresentò il primo momento di grande visibilità del movimento. I comitati vogliono prendere parola su tutto, dalla gestione dei finanziamenti al riallocamento dei paesi ricostruiti, rappresentando la rabbia di migliaia di persone costrette poi per anni a vivere nei containers. Una partita decisiva si gioca anche nel Pci sul ruolo dei comitati popolari: la sinistra interna vuole farne un movimento autonomo, garante degli interessi delle popolazioni colpite nei confronti della controparte istituzionale, per impedire che la ricostruzione diventi solo occasione di contrattazione tra burocrazie partitiche e comitati di interesse.
Il punto cruciale dello scontro sarà la legge 219 sulla ricostruzione. Viene concepita senza interloquire con i movimenti, come strumento per l'assalto ai fondi pubblici, attorno al quale si riorganizzerà il rapporto tra ceto politico, lobbies dei costruttori e capitale extralegale (mafia?).Insieme ai provvedimenti successivi (legge 80 per le grandi opere ecc.) la 219 distribuirà una pioggia di miliardi (oggi sarebbero 60.000 considerando l'inflazione!), ma non produrrà sviluppo, divenendo solo occasione di spartizione e di enormi profitti. La 219 ha anch'essa una concezione "emergenziale", giustificata formalmente dalla velocizzazione dei tempi, ma nei fatti questo servirà solo a togliere ogni trasparenza nella gestione delle risorse. Esemplare l'istituto della "concessione" che attribuiva all'azienda deputata alla realizzazione di un'opera funzioni solitamente pubbliche (compreso l'esproprio delle terre) e le consegnava a scatola chiusa il 25% del finanziamento per l'opera. Niente di più semplice che la società "concessionaria" subappaltasse ad una ditta disposta a fare il lavoro col 75% dei soldi grazie all'uso di materiali di scarto , intascandosi il 25%?
La concessione veniva data a consorzi "accreditati", la qual cosa normalmente è avvenuta attraverso un generale meccanismo di corrompimento del corpo politico-istituzionale. Singolare che molti considerino poi la 219 un enorme investimento per l'economia meridionale. In realtà la gran parte delle ditte appaltatrici erano settentrionali ( per i containers ad es. al Sud veniva fatto solo l'assemblaggio).
Soltanto a Napoli le grandi aziende edili del nord dovettero contrattare coi costruttori locali (do you remember Ferlaino?!) ed i "consorzi concessionari" rappresentarono proprio il meccanismo per la composizione percentuale di questi interessi. L'ultimo tentativo del movimento dei comitati popolari di farsi ascoltare ci sarà il 24 aprile 1981 con l'occupazione di un giorno della stazione di Salerno e dell'importante svincolo autostradale di Eboli, ma il 29 aprile la 219 passava alla commissione della camera con l'astensione del Pci che fino alla sera prima aveva promesso fiera opposizione! Quando pochi giorni dopo, al congresso promosso dalla CGIL sulla ricostruzione, il segretario Lama rifiutò di far parlare Rocco Falivena, il movimento capì quanta poca simpatia evocasse nella sinistra istituzionale?
In realtà il partito comunista doveva tutelare gli interessi dell'amministrazione Valenzi: quadro politico di formazione stalinista Valenzi era diventato sindaco di Napoli ma aveva solo 40 voti su 80 in consiglio e su tutte le scelte importanti era vincolato al voto democristiano, coi quali era portato quindi a "consociarsi"? Mentre la Democrazia Cristiana spadroneggiava in tutta la Campania, facendo estendere la definizione di aree di crisi (interessate perciò ai finanziamenti) persino ad alcune province del foggiano, Valenzi strinse un accordo coi costruttori napoletani ed al pci toccò la gestione del "commissariato" deputato alla ricostruzione per l'aria di Napoli (Ponticelli e Pianura fra le aree più investite da questo processo). Il piano di ricostruzione divenne anche il primo passo verso una deportazione di massa dei proletari napoletani verso le periferie, cosa che sta continuando con l'ultimo piano regolatore e i 2.000 sfratti previsti oggi ai danni delle fasce deboli. Del resto in quel commissariato per l'area di Napoli giocarono un ruolo chiave Vezio De Lucia e Giannini, figure centrali nelle scelte urbanistiche della stessa amministrazione Bassolino? Tra le scelte politiche di quei giorni è da segnalare quella di affidare ai privati la gestione dell'ingente patrimonio pubblico (conseguenza della ricostruzione). Cresce così la "Romeo costruzioni", oggi E.R., agenzia immobiliare e blocco di potere affaristico che gestisce attualmente il patrimonio immobiliare pubblico napoletano e di molte altre città.
Intanto nel 1980 pure a Napoli, dove accanto ai terremotati si pone la questione numericamente soverchiante dei senzatetto, si sviluppa un fortissimo movimento proletario intorno alle vicende del lavoro e della casa L'epicentro di queste lotte erano le organizzazioni dei disoccupati, nate nel '75 intorno all'esperienza di Vico Cinquesanti e cresciute vertiginosamente grazie alle capacità organizzaive del gruppo dei "Banchi Nuovi" (sede storica del movimento). Già in quegli anni i Disoccupati Organizzati dimostrano grande capacità di radicamento e di alleanze, come quando il 6 ottobre 1978 prendono parola durante un'assemblea con Pietro Ingrao all' Alfa Sud di Pomigliano: insieme agli studenti, per denunciare le condizioni di lavoro all'Alfa e l'abuso degli straordinari, bloccano le merci in entrata e in uscita piantando le tende davanti a cinque delle portinerie della fabbrica. Respingeranno un primo tentativo di sgombero della polizia grazie all'aiuto degli operai? Quando il 19 febbraio del '79 i D.O. occuperanno per una settimana la sede della CGIL, malgrado l'avversione dei burocrati sindacali saranno protetti dalla solidarietà dei consigli di fabbrica ! Dopo il 23 novembre 1980 perciò il proletariato precario risponderà con la lotta e con un'imponente ripresa dell'organizzazione. Da questa data a Napoli è un susseguirsi di occupazioni di case (circa 2500 !), alberghi, quartieri Icap, conventi, in un ininterrotto accavallarsi di blocchi stradali, cortei, rivolte, per lottare contro disoccupazione, impoverimento e mancanza degli alloggi alternativi a quelli fatti sgomberare con la forza nel dopo-terremoto.
Pure in questa circostanza l'amministrazione di sinistra, in coerenza con le scelte fatte negli anni '70, avversa i proletari organizzati per i propri diritti e Valenzi definisce i D.O. "untori" della sovversione. Si prepara così il terreno alla repressione che colpirà puntualmente: il 19 febbraio 1981 c'è un corteo unitario promosso da Banchi Nuovi contro Zamberletti, il 24 febbraio in una grande assemblea al cinema Meropolitan i D.O. lanciano la parola d'ordine dell'occupazione delle case private? La sera stessa scattano 5 mandati per "associazione sovversiva" verso i compagni di riferimento del movimento. I D.O. risponderanno il 28 febbraio con un corteo di 10.000 persone (disoccupati e studenti) aperto da uno striscione su cui era scritto: " Organizzati e uniti occupiamo le case, lottiamo per il salario e il lavoro. SIAMO TUTTI SOVVERSIVI!". Il 27 aprile viene rapito dalle BR Ciro Cirillo, assessore regionale DC, doroteo, cassiere napoletano di Gava e Piccoli. Le BR chiedono immediatamente la chiusura della rulottopoli sita nella Mostra d'Oltremare e la requisizione delle case sfitte per i senzatetto. Il 20 maggio in 4.000, fra D.O. e senzatetto, attraversano la città in corteo fin sotto palazzo San Giacomo. Polizia e Carabinieri, di fronte alla mobilitazione di massa, non possono che lasciar loro la strada, nonostante il divieto imposto il 5 marzo (accordo Foschi) e rinsaldato dopo il sequestro Cirillo. Si confermava insomma l'esistenza di una società duale in cui gli interessi proletari tendono a darsi un'organizzazione propria per non essere più calpestati mentre le istituzioni tendono a soffocare questi propositi per riportar tutto nella letale mediazione mafioso-democristiana. "Anche di fronte al sisma la città si é divisa in classi" scriveva con rabbia il foglio di Banchi Nuovi sintetizzando la consapevolezza di un movimento, che dai disoccupati organizzati di Napoli ai comitati popolari dell'Irpinia e del Salernitano, seppe rappresentare speranza di riscatto. Quel movimento seppe interpretare pienamente la centralità di quell'evento tragico dentro la storia sociale e politica italiana, prefigurare i processi attraverso cui si ridefiniva la forma stato e i rapporti tra i poteri nella nostra regione a partire dalla gestione delle enormi risorse della 219. Come ospiti indesiderati il protagonismo, le lotte e l'autonomia dei proletari giocarono le loro carte sul tavolo dei destini sociali di quest'area.
Le ragioni di quelle lotte sono più vive che mai: le conseguenze delle scelte politico-istituzionali del 1980 si sono sviluppate nel ventennio seguente ed oggi il ritardo nello sviluppo dalle regioni settentrionali è pressochè raddoppiato con la disoccupazione giovanile al 52% (?!).
La scuola-azienda sembra costruita appositamente per cancellare qualunque memoria critica e costruire "forza lavoro" su misura per un futuro di precarietà e flessibilità; il ricatto della clandestinità è usato per costringere gli immigrati al lavoro nero, mentre il potere locale é impegnato oggi come ieri a stendere lucrosi patti con i costruttori, con i capitali legali e con quelli "extralegali"... Continua la deportazione dei proletari in periferie abbandonate e le migliaia di sfratti esecutivi ai danni delle fasce deboli sono altri dati della catastrofe sociale in corso. Per questo il 23 novembre saremo in piazza, perché sia occasione della ripresa di un dialogo delle forze della sinistra antagonista, perché attorno ad una piattaforma che parla di salario per i disoccupati, di diritto alla casa e allo studio, di riqualificazione sociale e ambientale dei territori ci si organizzi per una ripresa delle lotte, per costruire una nuova possibilità di riscatto.
CSOA Officina 99 Lab. occupato SKA

sabato 10 novembre 2007

Cuba e l'ipocrisia occidentale


Premetto di essere un marxista di stampo non ortodosso, di sincera formazione libertaria e democratica. In altre parole, non mi sono affatto convertito al veterostalinismo di marca cossuttiana. Eppure sulle vicende cubane non mi convince quello che mi pare un subdolo tentativo di disinformazione e di speculazione propagandistica, in funzione reazionaria e neoliberista, messo in atto in un momento politico internazionale come quello attuale. Senza dubbio ritengo necessario condannare Cuba quando sbaglia. Anzi, rincarerei la dose esprimendo una considerazione più netta e perentoria: che il regime castrista fosse di natura antidemocratica ed illiberale non lo scopriamo oggi. Nondimeno, data la macabra ed oscura storia del continente latino-americano, data l’arretrata situazione della società cubana prima della rivoluzione castrista, oserei ipotizzare che il regime di Fidel sia la “migliore” tra le dittature del mondo, in quanto ha vinto con efficacia le secolari piaghe dell’analfabetismo e della povertà estrema che affliggevano la società cubana pre-rivoluzionaria. Inoltre la Cuba castrista può vantare i migliori ospedali e le migliori scuole pubbliche d’America. Sfido chiunque a smentire tali dati incontrovertibili che sono noti alla parte intellettualmente più onesta ed informata dell’opinione pubblica mondiale. Il governo castrista è sempre stato molto attento, equo e garantista verso i diritti e le tutele di carattere sociale: i diritti alla casa, al lavoro, all’istruzione e alla sanità pubbliche, assicurati a tutti i cittadini, sono un grande merito che bisogna riconoscere alla rivoluzione cubana. Purtroppo sul versante dei diritti politici e delle libertà democratiche il regime di Fidel Castro si è sempre rivelato insensibile e refrattario, nella misura in cui quei diritti e quelle libertà sono tuttora negati con estrema durezza. In tal senso è corretto asserire che il regime cubano sia uno Stato di natura politicamente autoritaria ed oppressiva. Tuttavia questo costituisce un punto di vista “occidentale”, in quanto è una valutazione parziale e relativa ad un contesto storico politicamente progredito, ma non è un giudizio applicabile ad altre realtà meno evolute come le società latino-americane, le società arabe, quelle africane, ecc. Probabilmente, sotto tale profilo la realtà sociale cubana rappresenta un’esperienza all’avanguardia, malgrado i limiti prima denunciati, ossia il deficit di democrazia rispetto alle società più avanzate dell’occidente, su cui pure occorrerebbe suscitare qualche perplessità e qualche riflessione critica. Infatti, la visione occidentale della “democrazia” è condizionata da un’ottica strumentale ed univoca, derivante da una profonda ipocrisia che caratterizza strutturalmente lo spirito liberal-borghese, fautore di uno “stato di diritto” meramente formale e a senso unico. A conferma di ciò suggerirei di rammentare, ad esempio, che negli U.S.A. (tradizionalmente celebrati come il modello storico della “democrazia occidentale”, come la patria dei diritti civili e dello Stato moderno) vige ancora la pena capitale, che è applicata sistematicamente in chiave classista e razzista, ossia a scapito dei soggetti più deboli, appartenenti alle classi subalterne o alle comunità etniche minoritarie, vale a dire contro i negri, gli ispanici, gli strati sociali meno abbienti e più indifesi. Tale ragionamento può senz’altro estendersi al tema più ampio della repressione carceraria e della violenza esercitata anche dalle democrazie occidentali contro le fasce più emarginate della società. Infatti, non mi pare che le democrazie occidentali siano immuni dall’influsso di meccanismi e di centri di potere di carattere antidemocratico, da sistematiche violazioni e da atroci crimini contro i diritti umani e civili, in funzione repressiva antiproletaria. Cito alcuni esempi. L’embargo commerciale imposto dagli U.S.A. contro Cuba, la sanguinosa guerra contro l’Iraq (un conflitto totalmente illegale ed immorale, in quanto è stato condannato e rifiutato da tutti, dal Papa, dall’O.N.U., dall’Europa, dalle moltitudini pacifiste, da tutti i popoli e dalla maggioranza dei governi del mondo!) e altre brutalità ed efferatezze perpetrate dal regime yankee contro il Sud del pianeta, rappresentano crimini assai più esecrabili di quelli commessi dal governo castrista, che pure vanno rigettati fermamente da parte di chi voglia progettare e perseguire l’idea di un comunismo migliore, più umano, compatibile con le libertà democratiche sancite non solo formalmente sulla carta, ma attuate in termini di un allargamento effettivo della partecipazione dei cittadini ai processi di decisione politica e ai canali di gestione della cosa pubblica.